incipit

Il 28 giugno 1928, un giovedì, Maria Verrisi dà alla luce il suo primo e unico figlio, fra quattro pareti umide all’ombra di Sant’Eulalia, dove, undici anni prima, aveva sognato un romantico futuro insieme al suo defunto marito.

sabato 3 settembre 2011

il '43 fu solo polvere

Il ’43 fu solo polvere…
Alla Marina e nel resto di Cagliari. Ma potrei sostituire la Marina con Trastevere, Cagliari con Roma. O con Napoli, Londra, Dresda. Il ‘43, ovunque, fu solo polvere. Le bombe, gli spezzoni, i palazzi che crollano e lasciano scheletri di cemento e mattoni, i sacchi di sabbia sventrati, vetri in frantumi, rotaie divelte. Dopo l’urlo delle sirene, il rombo dei quadrimotori, il sibilo delle bombe, il boato dei crolli, quello che rimaneva, ogni volta, a Cagliari come a Roma, a Napoli come a Londra o Dresda, era la polvere.

Il brano che segue è tratto dal romanzo.
Il ‘43 fu solo polvere. Ovunque. Indistintamente. Nelle narici, da far deglutire a ogni respiro. Nella lingua impastata e nella gola, poi giù, fino ai polmoni.
Sembrava che l’aria non scendesse e il sangue, per osmosi, la portasse in circolo nelle arterie, quella dannata polvere, fino al cuore che faticava a pompare il poco ossigeno.
Si doveva respirare a bocca aperta e questo non faceva che peggiorare la situazione. Gli occhi arrossati lacrimavano, annebbiando ogni percezione. La realtà assunse nuove forme, e non solo per la polvere negli occhi.
Polvere anche nelle orecchie, che attutiva i rumori, le grida, i pianti… Impastata fra i capelli scarmigliati, sotto le unghie, sopra le scarpe, dentro le scarpe, nei calzini, fra le dita dei piedi.
-    Lavati la faccia.
-     Dove? Non ce n’è d’acqua.
-    Giù, in fondo alla strada.
-    Quale strada?
-    Li, all’incrocio con… dov’è la fontanella.
-    Non vedi? Non c’è più nemmeno la fontanella.
-    E allora, quelli con le bottiglie?
-    Acqua di mare.
Polvere ovunque. Sui vestiti logori, indossati giorno e notte. Sugli abiti buoni appesi negli armadi, sui piatti chiusi nelle madie, fra le lenzuola, sulla cassapanca dell’ingresso. “Chiudi la porta”, ed entrava dal buco nel tetto. “Chiudi le finestre”, e non c’era più il muro attorno. Polvere sul selciato martoriato, fra i ciottoli sconnessi. E non c’era un vento amico. Maestrale, scirocco, libeccio, ognuno, da par suo, a rinvigorire quelle nuvole di polvere. Ci si muoveva fra la polvere, come fantasmi.
Si cercava fra la polvere, in mezzo alle macerie, come topi.
Si moriva fra la polvere, sotto le macerie, come topi.
Fino a quando, in città, rimase solo la polvere.

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